CRITICA DI CAROLINA LIO (2013/2014)Legendary Nature
“Annalù percorre gli stessi binari in chiave contemporanea, nel nostro mondo che – pur avendo abolito l’alchimia come termine – sta riscoprendo l’interdisciplinarità e la cooperazione tra biologia, chimica, fisica e spiritualità come metodo per una conoscenza superiore.”
Quando Robert Smithson crea la Spiral Jetty al Great Salt Lake in Utah, Stati Uniti, è il 1970 e gli artisti iniziano a confrontarsi con il problema dell’integrazione dell’ambiente nel loro lavoro. Nasce la Land Art che si può definire come un’arte che lavora con la natura e vi si adatta perchè, anche quando la rimodella, usa solo elementi già preesistenti nel mondo. Un po’ come l’arte povera, ma con una forma più collaborativa di intendere il rapporto tra l’opera e l’ambiente.
Una sorta di mutua dipendenza e imprevedibilità in cui la natura fa la sua parte tanto quanto l’artista, e certe volte di più. In quel caso Smithson, con l’aiuto di imponenti mezzi meccanici, mobilita terra e massi per costruire un grande imbarcadero a forma di spirale, dando alla terra solida la fluidità dell’acqua. Fa insomma il contrario di quanto la legge fisica suggerisce e, con la complicità della stessa materia, crea una logica inversa. Anche se l’acqua è un elemento senza forma propria, Smithson mima il liquido col solido e dà alla terra una fluidità sferica un po’ allungata, che richiama anche all’idea di una gigantesca goccia. E le gocce tendono di loro a essere sferiche per lo stesso meccanismo di tensioni tra molecole che rende sferici i pianeti e le stelle e che rende i moti universali concentrici e orbitali.
Del resto nell’acqua, molti pensatori e filosofie, religioni e miti, codici simbolici e licenze poetiche hanno trovato un appiglio per costruire la loro storia del mondo e una propria differente genesi. Questo elemento “utile”, “umile”, “prezioso” e “casto” come definito da San Francesco d’Assisi, era stato per Talete l’elemento tanto bramato dai filosofi antichi, l’archè (il principio), la materia primordiale unica da cui tutto il resto si era originato.
Stupisce che anche in una terra molto molto lontana dalla Grecia, la Cina, l’acqua veniva identificata con il caos primordiale da cui poi il mondo ebbe forma. E in epoche molto più recenti, quando ormai siamo a conoscenza di quanto più complessa sia stata l’origine reale dell’universo, la psicologia di Freud e Jung ha associato all’acqua un’altra storia delle origini: la nostra personale, di noi uomini concepiti e formati e nati dall’acqua materna. L’acqua attraversa simbolicamente tutta la vita dell’uomo e arriva come sottoforma di morte quando le anime antiche si immaginavano ad attraversare lo Stige dirigendosi verso gli Inferi, e quando la punizione divina del Diluvio Universale annegò tutte le terre ormai divenute troppo corrotte.
L’acqua è quindi strumento di Dio e, secondo altre culture, divinità essa stessa: il fiume Gange è per gli induisti una dea che purifica quando ci si immerge, così come purifica l’acqua del battesimo che cancella ai Cristiani la macchia del peccato originale. Le abluzioni degli scintoisti, e quelle dell’ebraismo e dell’Islam lavano l’anima oltre che il corpo e, come ci ricorda Jean Campbell Cooper, “l’acqua era il più grande simbolo taoista dopo il drago. Essa rappresenta la forza nella debolezza, la fluidità, l’adattabilità, la freschezza di giudizio, la persuasione cortese e l’assenza di passioni”. Un altro simbolo accompagna l’umanità in queste riflessioni simboliche dal sapore mistico e spirituale che spaziano dalla ricerca di un’origine del mondo alla necessità dell’accettazione della morte.
È il mandala. In questo caso non si tratta di un elemento fisico, ma di un processo di costruzione di un segno e di un pensiero. Il mandala si costruisce pensando al processo di formazione dell’universo e di tutto quello che esso contiene, e poi semplicemente lo si distrugge, perché ogni cosa che ha un inizio ha anche una fine e l’effimero non è una pecca della vita ma una sua caratteristica intrinseca e fondamentale. A parte implicazioni religiose, il mandala è stato studiato nel suo carattere psicologico per l’effetto capace di compiere sulla mente dell’uomo. Ad averlo studiato in modo particolarmente approfondito è il già citato Carl Gustav Jung che sull’argomento studiò per circa vent’anni, dedicandogli ben quattro saggi. Secondo Jung il mandala porta al ristabilimento di un ordine interiore e in periodi di particolari tensioni, affaticamenti e pressioni morali individuali, la figura del mandala può apparire spontaneamente in sogno, costituendosi come forma innata di auto-guarigione. Partendo dal suo proprio centro, l’uomo si ricostruisce, si medica, si ricentra su se stesso riconquistando stabilità in armonia con l’universo e la natura.
Questo stesso equilibrio costruito sulle ali delicate di una spiritualità meditativa, lo si ritrova nei lavori di Annalù che non a caso utilizza nelle sue opere, tra i simboli predominanti, l’acqua e i mandala. Più esattamente possiamo dire che i suoi sono mandala costruiti dall’acqua o da essa tenuti insieme mentre uno stormo di farfalle li percorre e gli dà sostanza, mimando il meccanismo della creazione e il flusso della vita. Questa descrizione necessita di essere approfondita nei termini, perchè nelle opere di Annalù, dietro una raffinatezza diafana e pura delle forme, si apre la porta di profondi significati che affondano le loro radici nei secoli e innalzano i loro rami in direzioni per nulla scontate. Le sue opere sono sicuramente piene di quella sobrietà elegante e di una selezionata semplicità, piacevoli di un’estetica consolidata che prende a prestito dal vocabolario della bellezza i suoi simboli archetipi (es. la farfalla e il fiore di loto), eppure si fondano su un meccanismo di contrasti dove niente è quello che sembra. La sua acqua, infatti, non è acqua, ma resina trasparente lavorata con una particolare tecnica che le consente di sembrare una cristallizzazione.
Questo però non la rende più fragile, perchè la stessa lavorazione prevede una sorta di struttura invisibile alla resina, un’armatura interna invece che esterna, un’anima della sostanza che la mantiene integra. La resina, poi, imprigiona delle farfalle nel momento in cui stanno volando in stormo in una struttura concentrica che forma un mandala. Ma si tratta di farfalle impossibili – farfalle sbagliate o forse farfalle perfette – ma comunque inesistenti in natura, immaginate dalla stessa artista per sottolineare il passaggio a un’altra dimensione. In più, se queste farfalle sono sorprese nell’acqua, si deduce che esse non volano ma piuttosto nuotano in cielo, in quel mondo prima del mondo che precedeva la creazione e in cui, secondo la Genesi, non c’era ancora divisione tra cielo e mare.
Sembra, quindi che, nel suo lavoro così come in varie religioni e filosofie e mitologie, l’acqua sia in qualche modo associata al caos primordiale, alla prima energia che ha fatto da propulsore allo sviluppo della vita. Oggi sappiamo che il caos iniziale, rinominato dagli scienziati big bang e corretto formalmente secondo una teoria più realistica riguardo allo sviluppo dell’universo, molto spesso si muove sulle logiche del caso e di una sviluppatissima ipersensibilità della materia. Nel racconto di Ray Bradbury, A sound of thunder, una macchina del tempo permette di viaggiare nel passato e quando un uomo contemporaneo viaggia nella preistoria e calpesta per sbaglio una farfalla, viene provocata una reazione a catena che cambia drasticamente l’intera storia dell’umanità. Questo racconto di fantascienza ha dato il nome a quello che oggi viene chiamato Butterfly effect, una teoria scientifica ormai ben conosciuta che studia l’imprevedibilità del sistema della vita partendo da azioni di per sé banali. Già nel 1963 Edward Lorenz tenne una conferenza dal titolo “Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?”.
Fragile, effimera, in continuo divenire fino al momento della morte, la farfalla è anche l’essere vivente che più facilmente si può paragonare a un mandala, proprio per questo suo essere perennemente in costruzione senza adagiarsi mai in nessuno dei suoi stadi: si schiude da uovo a bruco e passa ad essere pupa fino a raggiungere l’età adulta quando, finalmente completa nelle sue forme e nei suoi colori, non le restano che pochi giorni e poi muore. Così essa viene associata sia alla vita che alla morte, e se in Germania una farfalla indica una nascita in arrivo, per i Maya esse erano spiriti di defunti tornati sulla terra. Ecco su quali e quanti pilastri si fonda la solo apparentemente semplice cosmogonia di Annalù in cui forme delicate e trasparenti danno l’idea di una fragilità e purezza in contatto con la magia bianca, con il mondo delle leggende e con i tempi in cui l’uomo viveva in perfetta fusione con la natura. La ricerca dell’artista è, infatti, una riflessione sul mondo e su un senso di sacralità propria di tutte le cose, in cui la materia – declinata nei quattro elementi naturali – diventa la portavoce di una visione spirituale.
Il suo pensiero è simile alla prima arcaica filosofia, dove si mettevano in stretta correlazione tutti i campi dello scibile umano e questi venivano identificati in teorie dall’aspetto mitico e affascinante dove ogni disciplina si univa alle altre alla ricerca di una conoscenza del mondo che fosse, al contempo, semplice e profonda.
La loro concezione del sapere era decisamente alchemica e anche Annalù percorre gli stessi binari in chiave contemporanea, nel nostro mondo che – pur avendo abolito l’alchimia come termine – sta riscoprendo l’interdisciplinarità e la cooperazione tra biologia, chimica, fisica e spiritualità come metodo per una conoscenza superiore. Inoltre, l’antica alchimia aveva lo scopo di raggiungere una formula, una soluzione nobile e mistica per il benessere totale dell’umanità. Anticamente si identificava questa soluzione con la leggenda della pietra filosofale, capace di purificare ogni elemento fino a farlo diventare oro, conferire l’immortalità e far acquistare l’onniscenza. L’oro stesso, che insieme ad altri metalli inizia ad affacciarsi anche nel lavoro di Annalù, non era affatto visto in una prospettiva veniale, ma ammirato in quanto unico metallo inalterabile nel tempo. Trasformare qualcosa in oro voleva dire dare la vita eterna, avere un antidoto all’effimero. Rendere divino. Ne era prova il fatto che per produrla era considerato necessario l’avere a disposizione una elemento misterioso chiamato Anima del mondo, una specie di luce astrale divina che non era possibile avvertire se alla base della ricerca non c’erano intenzioni fortemente etiche. Trasformare un metallo vile in oro in modo da dargli l’inalterabilità di questo, è come dire fermare nel tempo le farfalle o cristallizzare un mandala. L’alchimia e il lavoro di Annalù si uniscono quindi in questa ricerca di un senso divino diffuso, che entri in tutto e che tutto profondamente trasformi alla luce di una sacralità. Questa si manifesta con un’energia vitale e forte che si sta esprimendo in un forte dinamismo proprio nel momento in cui viene imprigionato dalla resina creando un equilibrio tra energia e immobilità, elementi materiali e atmosfera magica. Un bilanciamento elegante, leggero e confortante che mima il rapporto dell’artista con quello che la circonda e la sua capacità di percepire quella spiritualità invisibile eppure fortemente presente dentro ed oltre ogni materia.
Estratto dal testo del catalogo “Legendary Nature” a cura di Carolina Lio, Mostra Personale, Red Eletion, Hong Kong 2013.